Think globally, act locally: la Conferenza di Rio de Janeiro
Nel 1992 ha avuto
luogo il meeting di Rio de Janeiro, appreso come la Conferenza delle Nazioni Unite
sull’ambiente e lo sviluppo (UNCED). Esso fu anticipato da un collegio preparatorio
i cui incarichi si erano avviati nel corso dei due anni e mezzo
precedenti, partendo
dalle risoluzioni contenute nel Rapporto Brundtland, con la compartecipazione di
numerosissimi capi di stato (da Bush a Mitterand, da Kohl a Castro) e al cospetto
di un Global Forum predisposto dalle organizzazioni non governative. La
Conferenza, promossa dall’assemblea generale dell’ONU, con l’obiettivo di
progettare piani e misure per trattenere e invertire gli effetti di degrado
ambientale, fu un processo
necessario per ottenere la collaborazione di tutti i soggetti. Lo scopo
ultimo fu quello di favorire uno sviluppo sostenibile ed
ecologicamente
compatibile in tutti i paesi del mondo. Il meeting in questione si può osservare come il più
grande evento congressuale della storia. Con la
partecipazione di 183
stati, esso ha raffigurato un perentorio punto di ragguaglio
nello scenario della
diplomazia globale, attraverso la presenza dei governi, delle organizzazioni non
governative e della popolazione civile. L’incontro ha sancito, risolutivamente,
l’esigenza della compatibilità tra i postulati dello sviluppo (insiti nella maggior parte
della popolazione mondiale) e gli imperativi stimati per un’adeguata
protezione ambientale, secondo le linee guida contenute nel Rapporto Bruntdland,
rinsaldate, in seguito, da innumerevoli documenti di carattere internazionale.
Rio de Janeiro, con i
suoi atti, istituisce una sorta di “involucro” il cui contributo nel processo di
sostenibilità ambientale racchiude i principi generali ai quali dovranno adeguarsi gli
atteggiamenti degli stati. Le azioni, oltre ad avere una chiara gittata politica, contengono
anche un’assiomatica importanza sotto il profilo del diritto internazionale. A
partire da qui, infatti, i principi che regolano e determinano lo sviluppo sostenibile
non sono più considerati come un mero parametro etico, economico, o
politico, ma divengono, a pieno titolo, riconducibili in qualità di principio generale,
articolati e tutelati dal diritto internazionale.
Il Summit di Rio,
proprio a fronte delle problematiche scaturite dalla penuria di misure coercitive
presenti nei precedenti dossier, ha redatto alcuni importanti documenti.
Vale la pena porre in
risalto i principali:
• La Dichiarazione di
Rio de Janeiro (Rio Declaration On Environment and Development). La
presente carta, basata su ventisette principi, ha messo in risalto il legame
esistente tra la protezione ambientale e lo sviluppo, sul bisogno di estirpare
la povertà e di tenere conto, in modo risolutivo, dei paesi in via di
sviluppo. Essa fu incentrata sull’urgenza di trovare soluzioni spendibili rispetto
ai modelli di prevenzione e consumo non sostenibili, incrementando le
capacità degli assetti locali di affrontare le argomentazioni
ambientali (capacity–building),
promuovendo un sistema economico internazionale
“aperto” funzionale allo sviluppo sostenibile. Nella prospettiva di unire gli intenti
e gli sforzi per il raggiungimento degli obiettivi preminenti (la garanzia di un’equità
internazionale, il soddisfacimento dei bisogni dei paesi
in via di sviluppo,
la cooperazione tra gli stati, l’imposizione di bilanciare i danni ambientali,
le valutazioni di impatto ambientale), tale Dichiarazione
esponeva in forma insigne quindici principi ai quali doveva
aderire la futura
strategia di azione dello sviluppo sostenibile. Occorre ricordare i più significativi (1).
— Principio 1. «Gli
esseri umani sono al centro delle preoccupazioni relative allo sviluppo sostenibile.
Essi hanno diritto ad una vita sana e produttiva, in armonia con la
natura».
— Principio 3. «Il
diritto allo sviluppo deve essere realizzato in modo da soddisfare equamente le esigenze
relative all’ambiente e allo sviluppo delle generazioni presenti e future».
— Principio 4. «Al
fine di pervenire a uno sviluppo sostenibile, la tutela dell’ambiente
costituirà parte integrante del processo di sviluppo e non potrà essere considerata
separatamente da questo».
— Principio 8. «Al
fine di pervenire a uno sviluppo sostenibile e a una qualità di vita che risulti migliore
per tutti i popoli, gli stati dovranno ridurre e eliminare, i modi di consumo
insostenibile, col fine ultimo di promuovere politiche demografiche adeguate».
— Principio 15. «Al
fine di proteggere l’ambiente, gli stati applicheranno largamente, secondo
le loro capacità, il metodo precauzionale. In caso di rischio grave e
irreversibile, l’assenza di certezza scientifica assoluta non deve servire da pretesto per rinviare
l’adozione di misure adeguate ed effettive, anche in rapporto ai costi, dirette a
prevenire il degrado ambientale».
L’Agenda 21. È un
piano d’azione da accogliere dagli anni Novanta, articolato in quaranta capitoli
destinati a tutti gli ambiti, sia caratteristici (deforestazioni, fenomeni
oceanografici, desertificazione, aree montane), che universali (la demografia, la
povertà, la tematiche relative alla fame nel mondo, le risorse idriche,
l’urbanizzazione), che intersettoriali, (come il problema dei trasferimenti delle tecnologie),
nei quali si ritiene necessario adottare un modello di sviluppo sostenibile, per il
quale si definiscono le strategie e le misure appropriate a ridurre l’impatto
ambientale prodotto dalle attività umane. Agenda 21 riproduce
un manifesto d’azione
di largo respiro che punta a tradurre in pratica una più equilibrata
coesistenza tra ambiente e sviluppo, nel dominio di cooperazione
Mauro Catani
Mauro Catani
1. Report of the
United Nations Conference on Environment and Development, Rio de Janeiro, 3–14
June
1992, United Nations
Publications, vol. I: Resolution adopted by the Conference, resolution internazionale.
La Convenzione Quadro
sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC, United Nations Framework Convention
on Climate Change). Includeva le linee
guida e le azioni intraprendibili, con lo scopo di rendere stabile la
concentrazione in
atmosfera dei gas serra dovuti all’impiego dei combustibili fossili, ad un valore tale da
contrastare rischiosi effetti per il sistema climatico.
La Convenzione sulla
Diversità Biologica (Convention on Biological Diversity). Essa invitava gli
stati alla cooperazione internazionale, le organizzazioni intergovernative ed
il settore governativo e non, all’espansione di piani e programmi diretti
alla conservazione delle biodiversità ed all’uso duraturo dei suoi costitutivi,
incoraggiando, infine, i paesi in via di sviluppo ed il trasferimento delle biotecnologie. Oltre
a questo, la Conferenza di Rio, è stata anche l’opportunità per dare vita ad altre
apprezzabili proposte:
— l’istituzione della
Commissione sullo sviluppo sostenibile (Commission on Sustainable
Development). Sorta col fine di incoraggiare e verificare i progressi nell’attuazione degli
accordi raggiunti a Rio. Coinvolti in questo processo furono i governi, le agenzie,
l’ONU, le ONG e altri settori provenienti dalla società civile;
— ha sancito la
promozione del programma “Democratizzazione dei processi di formazione delle
politiche internazionali”, ponendo particolare attenzione sul significativo ruolo
delle ONG nella dimensione internazionale;
— ha dato risalto ai
gruppi portatori di interesse2, sottolineando l’esigenza di agevolare al massimo
l’accesso alle informazioni.
Con la Conferenza di
Rio è iniziata una nuova fase politica in ambito di salvaguardia
ambientale, incentrata sulla costituzione di nuove forme di cooperazione, sullo
sfondo delle configurazioni di collaborazione e partecipazione, in prospettiva di una
società globale che consideri imprescindibile l’integrazione tra
le argomentazioni
eco- nomiche e quelle ambientali, con modalità intersettoriali ed internazionali.
Internazionalizzazione
e intersettorialità, a Rio de Janeiro, viaggiarono sulla stessa lunghezza d’onda.
Condotta globale ed azione locale dissolsero l’essenziale dicotomia della
trattazione; come recita lo slogan forgiato nella metropoli carioca, a margine dell’evento:
“Think globally, act locally”.
2. Il progetto di
Agenda 21 riconosce nove gruppi quali partners dei governi per quanto concerne
l’attuazione a livello
internazionale degli accordi di Rio, essi sono i seguenti: i giovani, i
sindacati, le donne, il mondo degli affari,
dell’industria, le autorità locali, gli scienziati, le popolazioni indigene e i
coltivatori.
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