Per diminuire le disuguaglianze sociali: il vertice mondiale di Johannesburg
Al vertice, organizzato dalle Nazioni Unite, hanno partecipato 189 dei 195 paesi membri dell’ONU. Sono intervenuti capi di stato, capi di governo, ministri e diplomatici; nonché rappresentanti di enti locali e organizzazioni non governative.
Il segretario generale delle nazioni unite, Kofi Annan, rende noto, alla fine del 2001, un Rapporto concernente lo stato di messa in opera di quanto determinato a Rio de
Janeiro, durante il colossale Earth Summit svoltosi nel 1992. Nel rapporto in questione viene sottolineato come a dieci anni dal summit di Rio, (pur avendo quest’ultimo fatto nascere una presa di coscienza di portata globale sulle priorità ambientali ed attivato una quantità di processi istituzionali di successo, schiudendo la via verso uno sviluppo adattabile nei confronti dell’ambiente), esso sia stato incapace di generare tangibili conseguenze in termini di globalità.
Nel corso dei dieci anni di riferimento, l’equilibrio ecologico si è danneggiato ulteriormente, senza considerare che la povertà mondiale è inesorabilmente aumentata e l’idea di un cambiamento radicale dei modelli di produzione e consumo è stata definitivamente abbandonata. In queste condizioni di struggente e profonda disillusione vengono gettate le fondamenta del Summit Mondiale sullo sviluppo sostenibile di Johannesburg, tenutosi fra il mese di agosto e settembre del 2002. La “grazia” chiesta al Summit era congiunta all’individuazione di inequivocabili target politico–sociali di riferimento e di tempistiche entro le quali annullare il distacco creatosi dalla mancanza di sincrono fra il pensiero e l’azione: atteggiamento, questo, che ha accompagnato costantemente la condotta degli stati coinvolti.
Dal Congresso scaturirono due importanti testi.
1) La Dichiarazione politica sullo sviluppo sostenibile. Sottoscrivendo la presente, gli stati partecipanti si impegnarono a realizzare l’obiettivo dello “sviluppo sostenibile”.
Esso contiene circa trenta punti divisi in sei paragrafi, che portano i seguenti titoli:
— “Dalle nostre origini al futuro”: in cui si esprime la necessità di conciliare il progresso economico e civile dei popoli con le esigenze di protezione ambientale;
— “Da Stoccolma a Rio de Janeiro a Johannesburg”: in cui vengono nuovamente discusse le prospettive dello sviluppo sostenibile;
— “Le sfide da raccogliere”: in cui vengono evidenziati i criteri di interdipendenza fra i criteri ambientali e quelli sociali;
— “Il nostro impegno verso lo sviluppo sostenibile”: in cui si identificano le priorità; una su tutte la povertà dei paesi in via di sviluppo;
— “Multilateralismo”: in cui si esprimono le necessità di istituire organismi di controllo dei progetti;
— “Che si avveri”: in cui è contenuto l’auspicio di una concreta attuazione delle dichiarazioni di intenti pronunciate a Johannesburg.
2) Il piano di azione sullo sviluppo sostenibile. Contiene gli obiettivi concordati in 152 punti. I contenuti principali fanno riferimento alle seguenti argomentazioni:
— aiuti: è indicato ai paesi ricchi l’obiettivo di destinare in aiuti lo 0,7% del prodotto interno lordo, da far confluire in un fondo per la solidarietà. Inoltre, nell’ottica di mettere in pratica i principi dello sviluppo sostenibile, sono stati ideati 596 progetti di cooperazione, allegati al Piano di Azione. Si tratta perlopiù di programmi bilaterali tra paesi industrializzati e paesi poveri, che prevedono la partecipazione preminente di aziende private, le quali dovranno agire sotto la supervisione dei governi. Tali progetti furono suddivisi in dodici aree di intervento, tra cui la povertà, le energie rinnovabili, la purificazione delle acque, i piani contro la deforestazione.
Per la loro attuazione, che dovrà avvenire nell’arco dei dieci anni successivi, venne predisposto uno stanziamento iniziale di 1500 milioni di euro;
— acqua potabile e servizi igienici: è stato assunto l’impegno di dimezzare entro il 2015 il numero di persone (attualmente stimate intorno ai 2,4 miliardi) che non hanno accesso ai beni sopra citati;
— protezione della salute: questo settore circoscrive gli obiettivi indirizzati alla diffusione dell’assistenza sanitaria di base. Entro il 2015 il programma punta alla riduzione della mortalità infantile (fino ai cinque anni) di due terzi e per la mortalità da parto di tre quarti, rispetto ai dati registrati nel 2000. Inoltre entro il 2005 la riduzione di un quarto per quanto concerne la diffusione dell’AIDS tra i giovani;
— energia: esso è stato uno degli argomenti maggiormente dibattuti: l’opposizione di Giappone, Stati Uniti, Canada, Australia e Nuova Zelanda (facenti parte del cartello Juscan) e dei paesi arabi aderenti all’OPEC, ha costretto all’adozione di una formula generica con cui ci si impegna ad un sostanziale incremento dell’uso delle fonti energetiche. La ridefinizione del protocollo in questione portò, in via definitiva, a non fissare un preciso parametro rispetto alle tempistiche precedentemente auspicate;
— biodiversità: è ribadito l’impegno — già contenuto nella Convenzione sulla Biodiversità di Rio — per la riduzione del ritmo di estinzione della varietà delle specie viventi, determinata dall’inquinamento e dallo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali, entro il 2010;
— sostanze chimiche: è stato raggiunto un accordo per l’eliminazione delle sostanze chimiche tossiche e nocive entro il 2020, prestando particolare attenzione
ai pesticidi massicciamente impiegati in agricoltura;
— clima: sono stati ribaditi gli obiettivi della Convenzione di Rio sui cambiamenti climatici, tesi a stabilizzare — su livelli di nulla pericolosità — le concentrazioni
dei gas serra nell’atmosfera. Viene, inoltre, lanciato l’appello per una tempestiva ratifica del Protocollo di Kyoto, nei confronti dei paesi che ancora non lo avessero fatto.
Questo congresso ha fatto emergere una nuova coscienza ambientale, più fresca e delineata rispetto alle stime fatte e agli impegni intrapresi a Kyoto. La promessa concreta dei paesi ratificanti l’accordo formulato a Johannesburg, conduce all’archetipo di uno sviluppo non più incentrato sulla crescita economica, ma sulla diminuzione delle disuguaglianze sociali e su un nuovo ragguaglio uomo–ambiente, dove quest’ultimo non è più autenticato come una sorta di ostruzione o come un mezzo supplementare per la crescita dell’attività umana, ma piuttosto come una preziosa fonte di speranza di vita.
Scritto da Mauro Catani
Il segretario generale delle nazioni unite, Kofi Annan, rende noto, alla fine del 2001, un Rapporto concernente lo stato di messa in opera di quanto determinato a Rio de
Janeiro, durante il colossale Earth Summit svoltosi nel 1992. Nel rapporto in questione viene sottolineato come a dieci anni dal summit di Rio, (pur avendo quest’ultimo fatto nascere una presa di coscienza di portata globale sulle priorità ambientali ed attivato una quantità di processi istituzionali di successo, schiudendo la via verso uno sviluppo adattabile nei confronti dell’ambiente), esso sia stato incapace di generare tangibili conseguenze in termini di globalità.
Nel corso dei dieci anni di riferimento, l’equilibrio ecologico si è danneggiato ulteriormente, senza considerare che la povertà mondiale è inesorabilmente aumentata e l’idea di un cambiamento radicale dei modelli di produzione e consumo è stata definitivamente abbandonata. In queste condizioni di struggente e profonda disillusione vengono gettate le fondamenta del Summit Mondiale sullo sviluppo sostenibile di Johannesburg, tenutosi fra il mese di agosto e settembre del 2002. La “grazia” chiesta al Summit era congiunta all’individuazione di inequivocabili target politico–sociali di riferimento e di tempistiche entro le quali annullare il distacco creatosi dalla mancanza di sincrono fra il pensiero e l’azione: atteggiamento, questo, che ha accompagnato costantemente la condotta degli stati coinvolti.
Dal Congresso scaturirono due importanti testi.
1) La Dichiarazione politica sullo sviluppo sostenibile. Sottoscrivendo la presente, gli stati partecipanti si impegnarono a realizzare l’obiettivo dello “sviluppo sostenibile”.
Esso contiene circa trenta punti divisi in sei paragrafi, che portano i seguenti titoli:
— “Dalle nostre origini al futuro”: in cui si esprime la necessità di conciliare il progresso economico e civile dei popoli con le esigenze di protezione ambientale;
— “Da Stoccolma a Rio de Janeiro a Johannesburg”: in cui vengono nuovamente discusse le prospettive dello sviluppo sostenibile;
— “Le sfide da raccogliere”: in cui vengono evidenziati i criteri di interdipendenza fra i criteri ambientali e quelli sociali;
— “Il nostro impegno verso lo sviluppo sostenibile”: in cui si identificano le priorità; una su tutte la povertà dei paesi in via di sviluppo;
— “Multilateralismo”: in cui si esprimono le necessità di istituire organismi di controllo dei progetti;
— “Che si avveri”: in cui è contenuto l’auspicio di una concreta attuazione delle dichiarazioni di intenti pronunciate a Johannesburg.
2) Il piano di azione sullo sviluppo sostenibile. Contiene gli obiettivi concordati in 152 punti. I contenuti principali fanno riferimento alle seguenti argomentazioni:
— aiuti: è indicato ai paesi ricchi l’obiettivo di destinare in aiuti lo 0,7% del prodotto interno lordo, da far confluire in un fondo per la solidarietà. Inoltre, nell’ottica di mettere in pratica i principi dello sviluppo sostenibile, sono stati ideati 596 progetti di cooperazione, allegati al Piano di Azione. Si tratta perlopiù di programmi bilaterali tra paesi industrializzati e paesi poveri, che prevedono la partecipazione preminente di aziende private, le quali dovranno agire sotto la supervisione dei governi. Tali progetti furono suddivisi in dodici aree di intervento, tra cui la povertà, le energie rinnovabili, la purificazione delle acque, i piani contro la deforestazione.
Per la loro attuazione, che dovrà avvenire nell’arco dei dieci anni successivi, venne predisposto uno stanziamento iniziale di 1500 milioni di euro;
— acqua potabile e servizi igienici: è stato assunto l’impegno di dimezzare entro il 2015 il numero di persone (attualmente stimate intorno ai 2,4 miliardi) che non hanno accesso ai beni sopra citati;
— protezione della salute: questo settore circoscrive gli obiettivi indirizzati alla diffusione dell’assistenza sanitaria di base. Entro il 2015 il programma punta alla riduzione della mortalità infantile (fino ai cinque anni) di due terzi e per la mortalità da parto di tre quarti, rispetto ai dati registrati nel 2000. Inoltre entro il 2005 la riduzione di un quarto per quanto concerne la diffusione dell’AIDS tra i giovani;
— energia: esso è stato uno degli argomenti maggiormente dibattuti: l’opposizione di Giappone, Stati Uniti, Canada, Australia e Nuova Zelanda (facenti parte del cartello Juscan) e dei paesi arabi aderenti all’OPEC, ha costretto all’adozione di una formula generica con cui ci si impegna ad un sostanziale incremento dell’uso delle fonti energetiche. La ridefinizione del protocollo in questione portò, in via definitiva, a non fissare un preciso parametro rispetto alle tempistiche precedentemente auspicate;
— biodiversità: è ribadito l’impegno — già contenuto nella Convenzione sulla Biodiversità di Rio — per la riduzione del ritmo di estinzione della varietà delle specie viventi, determinata dall’inquinamento e dallo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali, entro il 2010;
— sostanze chimiche: è stato raggiunto un accordo per l’eliminazione delle sostanze chimiche tossiche e nocive entro il 2020, prestando particolare attenzione
ai pesticidi massicciamente impiegati in agricoltura;
— clima: sono stati ribaditi gli obiettivi della Convenzione di Rio sui cambiamenti climatici, tesi a stabilizzare — su livelli di nulla pericolosità — le concentrazioni
dei gas serra nell’atmosfera. Viene, inoltre, lanciato l’appello per una tempestiva ratifica del Protocollo di Kyoto, nei confronti dei paesi che ancora non lo avessero fatto.
Questo congresso ha fatto emergere una nuova coscienza ambientale, più fresca e delineata rispetto alle stime fatte e agli impegni intrapresi a Kyoto. La promessa concreta dei paesi ratificanti l’accordo formulato a Johannesburg, conduce all’archetipo di uno sviluppo non più incentrato sulla crescita economica, ma sulla diminuzione delle disuguaglianze sociali e su un nuovo ragguaglio uomo–ambiente, dove quest’ultimo non è più autenticato come una sorta di ostruzione o come un mezzo supplementare per la crescita dell’attività umana, ma piuttosto come una preziosa fonte di speranza di vita.
Scritto da Mauro Catani
Commenti
Posta un commento